STORIA
Le origini del comune di Fontanafredda si fanno risalire all'
età romana imperiale, come attestano numerosi reperti dell'epoca rinvenuti in seguito alla scoperta di alcune tombe datate qualche decennio a.C.
Crocevia tra Concordia e la Pedemontana, luogo di transito attraverso la Pedrada, ovvero strada pietrata, verso la Celinia, fu sede dello stanziamento di coloni romani nella attuali zone di Sant'Egidio, Vigonovo e Talmasson, come attestano anche le etimologie di alcuni toponimi (Vigonovo da Vicus Novo - villaggio nuovo; Villadolt rispettivamente da Villa - villaggio di campagna, e dolt - alto).
Il nome di Fontanafredda
appare invece
per la prima volta come Fontanafrigida, in un documento del 1199 ed è attribuito alla presenza di numerose risorgive. Nei secoli successivi alla caduta dell'Impero Romano la zona fu frequentemente teatro di numerose invasioni barbariche: nell'aprile del 568 i Longobardi, nell'899 gli Ungari.
Nel 1499 invece, furono i Turchi ad attraversare il Friuli in una delle più devastanti invasioni che la storia locale ricordi.
Una volta che i centri venivano attaccati i soldati delle colonne ottomane, incendiavano le case e prendevano prigionieri soprattutto i giovani tra i 10 e 20 anni, utili a rimpinguare le fila delle truppe o destinati agli hare. Dalla notte tra il 29 e 30 settembre, le comunià fiulane furono prese d'assalto dagli ottomani chem per ottenere la maggior quantità di bottino possibile, misero in atto svariati espedienti, come il suonare le campane per attirare fuori dalle case i malcapitati abitanti e la preparazione di agguati all'entrata delle città.
Il 30 i cavalieri si mossero fino a Roveredo, che divenne punto di partenza per l'attacco di tutti gli altri paesi limitrofi. La colonna principale, da Roveredo, si divise in reparti minori, uno andò nel pordenonese e qui si frazionì ulteriormente, uno raggiunse e superò il Livenza, il terzo raggiunse la Pedemontana e l'ultimo andò ad invadere Porcia e da lì fino a Treviso. Pordenone e Cordenons furono i primi ad essere colpiti, ma fu il secondo contingente che colpì Fontanafredda, in particolare la frazione di Vigonovo, il cui territorio rimase distrutto e la popolazione decimata, con oltre trecento vittime a Vigonovo e trentacinque a Fontanafredda. Secondo alcune testimonianze che ci sono pervenute,
a Vigonovo, all'arrivo dei Turchi, circa 300 persone tra uomini, donne e bambini stavano assistendo ad una funzione religiosa e
furono passati a fil di spada o catturati, pochissimi furono coloro che si salvarono.
A Villadolt vi furono diciassette famiglie danneggiate in case, masserizie, attrezzi rurali, cavalli, pecore, buoi, grani, vini, fieni ed altro, per un valore di 28836 lire venete,
mentre sedici furono i morti. I danni per Fontanafredda raggiunsero la somma di 14.155,12 lire. Diciannove invece, furono le perdite, gente morta o tratta in schiavitù. Al termine della devastazione compiuta dai Turchi, la regione appariva devastata e sembra che la Repubblica di Venezia non abbia alleviato le sofferenze delle comunità con sgravi fiscali o altro, se non in rarissimi casi.
Ancora oggi è ricordata la data del 30 settembre, giorno dell'invasione turca, in cui le campane della chiesa di Vigonovo suonano a morto.
La configurazione attuale del comune risale al 1811, a seguito di un decreto napoleonico che ingiungeva l'aggregazione dei comuni limitrofi inferiori a 3.000 abitanti e così, Fontanafredda si unì a Villadolt, creando il comune di Ronche di 635 abitanti a cui, qualche anno dopo, si aggiunse Vigonovo. Così, per la prima volta nella storia fontanafreddese, l'attuale territorio si trovò unito in un solo comune, quello di Vigonovo, che raggiunse una popolazione di 1.920 persone. Tale comune però, ebbe vita breve, solo otto mesi: nel settembre dello stesso anno, diventò il comune di Fontanafredda.
Prima di questa data il territorio era diviso in tre comuni: quello di Vigonovo che comprendeva Nave, Ranzano e parte di Talmasson, quello di Fontanafredda, comprendente il restante territorio di Talmasson ed il comune di Villadolt con Ronche e Ceolini. Le due comunità di Fontanafredda e Vigonovo vennero a trovarsi, rispettivamente, sotto le giurisdizioni dei Patriarchi e dei Trevigiani.
Il periodo napoleonico, con i suoi eventi bellici, fu vissuto dalla popolazione fontanafreddese in prima persona, quale testimone delle atrocità della guerra e quale collaboratrice nel fornire aiuto ai bisognosi.
L'importanza di questi avvenimenti e il ruolo
vissuto da Fontanafredda durante la guerra franco-austriaca,
merita un approfondimento, quindi torniamo indietro di 198 anni e giungiamo al 1.808, anno della svolta nella politica internazionale: la Francia, sempre più coinvolta nella guerra di Spagna, ritirò il grosso della Grande Armata dai territori tedeschi, lasciando scoperto il fronte danubiano dell'Impero francese. L'Austria decise di approfittare della situazione, scatenando la guerra l'anno successivo. Le scelte delle due potenze, come accade sempre nella storia, influenzarono i destini di molti innocenti.
In Friuli erano asserragliate diverse truppe francesi nei valichi settentrionali, lungo l'Isonzo, presso Sacile e Fontanafredda. I due mesi di permanenza dei francesi furono ricchi di eventi incalzanti e sanguinosi, che rimasero vividi nelle menti degli indigeni, come si può dedurre dalla testimonianza di un cronista dell'epoca: "I Francesi fecero molte baronate, prepotenze, ladrerie senza fine e tutti tenevano serrate case e botteghe; ma il male peggiore toccò alla case dei poveri contadini, le quali vennero spogliate.." (passo tratto dal libro "16 aprile 1809. Sire, ho perduto").
Il gran giorno della battaglia che tutti ricordano è il 16 aprile 1809, presso la località Camolli, una vasta zona, la cui giurisdizione è divisa tra i Comuni di Sacile, Fontanafredda e Brugnera e che fu formalmente costituita dopo la nascita della parrocchia. Il nome
Camolli ha origini antiche, indicava una vasta pianura paludosa e acquitrinosa, una terra improduttiva.
Il campo di battaglia era un'area di cinque lati, formato dalle strade di Sacile-Fontanafredda, Fontanafredda-Porcia, Porcia-Palse-Tamai, Tamai-Brugnera, Brugnera-Sacile,
su cui aveva piovuto da giorni e che
si presentava, agli occhi dei soldati, come una grande area paludosa e melmosa. Le
truppe francesi di Napoleone erano guidate da Eugenio Beauharnais, quelle dell'esercito austroungarico dall'arciduca Giovanni d'Austria. Tutta la giornata del 16 fu segnata dall'avanzamento dell'uno o dell'altro reggimento, ma
alla fine la vittoria fu degli austriaci con grandi perdite per entrambi gli schieramenti.
Nei giorni successivi, la popolazione visse sotto la pressione delle autorità militari asburgiche che chiesero, a più riprese, l'intervento dei chirurghi locali per assistere i molti feriti e per fornire locali adatti che potessero ospitarli. L'impegno dei civili però, non si limitò a questa attività assistenziale, ma anche alla sepoltura dei caduti: piccole fosse furono scavate nel campo di battaglia dei Camolli, mentre grandi fosse comuni furono scavate presso l'argine di Santa Ruffina, presso il capitello di Sant'Antonio e di Sant'Artenio a Fontanafredda e in altre aree del territorio circostante. Per molto tempo dopo, diversi lavori di scavo effettuati nei pressi di queste zone, hanno restituito i corpi di molte vittime.
Fonti:
- 16 aprile 1.809. Sire, ho perduto. Le battaglie napoleoniche in Friuli, Roberto Gargiulo. Edizioni Biblioteca dell'immagine, Pordenone 1997
- Mamma li turchi. La grande scorreria del 1499 in Friuli, Roberto Gargiulo. Edizioni Biblioteca dell'immagine, Pordenone 1998
ARTE
La storia del territorio attuale del comune di Fontanafredda, composta dalle frazioni di Camolli, Casut, Ceolini, Forcate, Nave, Ranzano, Romano, Ronche, Talmasson, Vigonovo, Villadolt e la stessa Fontanafredda, è imperniata principalmente proprio sulla storia di questi ultimi due, ove, un tempo, erano situate le strutture civili ed economiche delle ville e le chiese dove confluivano i fedeli.
L'ambiente sociale era quello delle comunità contadine inserite in una signoria rurale, il cui centro era la chiesa. I
culti locali più antichi
erano dedicati a Sant'Egidio, San Giorgio e San Pellegrino.
Il primo perse progressivamente importanza nel corso del tempo in favore del secondo, la cui importanza è tuttora testimoniata dalla Chiesa Parrocchiale. Essa è un interessante edificio neoclassico eretto su disegno di Antonio Marchi: un edificio a croce latina con corte braccia, i cui lavori d'avvio iniziarono negli anni 40, mentre la consacrazione, ad opera del vescovo di Concordia monsignor Andrea Cassola, nel 1857. Due degli altari contenuti al suo interno furono trasferiti nella parrocchiale da Villadolt, uno dedicato a San Antonio di Padova, l'altro all'Immacolata, così come molte suppellettili: un piatto per le elemosine, un crocifisso in bronzo del 600, paramenti e messali.
Al suo interno ha sede una seicentesca Deposizione attribuita ad Isacco Fischer di Augusta, in Germania, trasferitosi ancor giovane in Friuli dove cominciò ad operare a partire dal 1650: è una composizione molto serrata, affollata, con qualche momento di alto lirismo.
Nella parte esterna sinistra della chiesa, un affresco raffigurante la Vergine col Bambino in gloria, è opera dell'abate, patriota e pittore Giovanni Toffoli di Porcia, che eseguì anche il ritratto del parroco don Pietro Della Toffola che si conserva in sagrestia (1860).
Sul lato opposto si erge il campanile, a canna quadrata e terminazione a corpo ottagonale.
Per quanto riguarda San Pellegrino, il culto in favore di questo santo, perse via via importanza nel corso del tempo, tanto che i documenti antichi testimoniano di una chiesetta "piuttosto diroccata e in mal ordine".
Accanto a questa non bisogna poi dimenticare la cappella cimiteriale di Villadolt, anch'essa dedicata a San Giorgio. Incerti sono i dati relativi alla costruzione della chiesetta: si suppone che fosse già esistente nel 1214. Secondo gli antichi documenti, essa si presentava come un edificio ad aula rettangolare, con una copertura a capriate, un presbiterio a pianta quadrata con volta a vele, due vani ad uso sacrestia e cimiteriali, una porta d'ingresso in facciata ed una sul lato orientale, un campanile a canna quadrata con cella a quattro bifore in pietra, coronato da un tamburo ottagonale e una cupoletta semisferica. Tale descrizione, oltre a presentarci un'immagine realistica dell'antica cappella, fornisce una descrizione attuale della cappella cimiteriale, che nel corso degli anni non ha, infatti, subito rilevanti trasformazioni, ad eccezione del rifacimento della navata, nel 1694 e del restauro ed ampliamento eseguti nel 1783.
Al suo interno vi è un altare dedicato a Santa Lucia e uno dedicato a San Antonio abate, taumaturgo, patrono del bestiame e delle stalle, guaritore degli uomini.
Un'altra testimonianza dell'importanza rivestita dal culto di San Giorgio è la Chiesetta di San Giorgio in Campagna.
Essa esisteva già prima del 1500, vi si fa cenno infatti in due documenti, uno del 1515 e l'altro del 1531. Nel 1607 a seguito della Bolla Milliana, divenne parrocchia, staccata da quella di San Vigilio di Palse. Aveva anche una succursale, la Chiesetta di Sant'Egidio, di cui però non rimane più nulla, come nulla più rimane della Chiesetta di San Pellegrino che risultava scomparsa già alla fine del Settecento.
A Ronche invece, si trova la chiesetta dedicata alla Purità di Maria, attualmente annessa a Villa Zanussi. La cappella fu costruita dalla famiglia Gaspari, stabilitasi a Ronche già nel 500, intorno al 1772.
Essa presenta un'architettura semplice, ha una facciata con sei robuste paraste con capitelli corinzi che sostengono una trabeazione con timpano triangolare adorno di tre acroteri. Fra le colonne vi è il portale d'ingresso e subito sopra un'iscrizione dedicatoria. L'aula interna ha una pianta rettangolare fiancheggiata da due coretti, un abside e una sacrestia sporgenti, due finestre semicircolari nell'aula e due quadrate nei coretti. Intorno all'abside trova posto un vano utilizzato come sagrestia o come luogo per accogliere i proprietari qualora volessero assistere ai riti religiosi. L'altare ha un basamento in marmo di Carrara e incornicia una pala con la "Madonna Assunta e i Ss. Gioacchino e Anna" di Giovanni Toffoli. Sulle pareti laterali, invece, vi sono due nicchie che contengono due statue lignee: una statua in legno di "San Antonio di Padova" di A. Businari e un'altra sempre in legno, raffigurante la Vergine col Bambin.
Il soffitto infine, è affrescato con la scena dell' "Eterno Padre fra uno stuolo di angeli".
A Vigonovo, la Chiesa parrocchiale, costruita su progetto dell'architetto Longo Armellin di Ceneda nel 1851, con facciata in sassi e mattoni a vista,
mostra gli elementi tipici del gusto neoclassico: divisione in tre parti mediante quattro semicolonne, capitelli ionici e timpano. È affiancata da un elegantissimo alto campanile. All'interno, si nota la pala di Andrea Vicentino (159), raffigurante l'Assunta con i dodici Apostoli e la figura del donatore: un dipinto gradevole, con un bel particolare paesaggistico e colori piuttosto intensi. La pala con la Madonna del Carmine e San Domenico è del trevisano Giuseppe De Lorenzi (1859). Il fonte battesimale con copertura lignea seicentesca, pregevolmente intagliata, è opera di Andrea Ghirlanduzzi.
Nella Chiesetta della Beata Vergine del Rosario a Romano, si nota un grande altare ligneo scolpito e dipinto nel 1662 dall'intagliatore Andrea Ghirlanduzzi di Ceneda, nel solito fastoso barocco che contraddistingue tutti gli altari del Ghirlanduzzi; due dipinti settecenteschi di fattura popolare, l'uno riproducente San Giuseppe col Bambino (copia della pala della Madonna della Misericordia del Pordenone), l'altro i Ss. Floreano, Daniele, Antonio abate e Carlo.
La Chiesa di San Antonio di Nave, che sorge proprio sulle acque del fiume Livenza, è immersa nel verde ed è un luogo invitante per passeggiate nella natura. L'edificio risale al 1348, ma risulta difficile la ricostruzione della sua storia, a causa delle scarse notizie che ci sono pervenute. Si sa per certo che la struttura fu rimaneggiata nel 1762 e restaurata nel 1963. All'anno successivo 1964, risale una scheda tecnica che ci fornisce diverse informazioni riguardanti l'aspetto originario della chiesetta: "Aula rettangolare con travi a vista (tre capriate), abside semicircolare, sacrestia rettangolare, aggiunta a sinistra dell'aula. Facciata liscia con porta principale ad arco ribassato, porta secondaria rettangolare sulla destra dell'aula (..). Figura moderna di San Antonio Abate sull'altare".
Tale descrizione ci fornisce qualche tratto saliente della Chiesa e ci permette di interpretare come posteriori il campaniletto, le finestre rettangolari della parete meridionale e la sacrestia.
Chiesa di Ceolini e di Ranzano
Le due costruzioni che risalgono al secolo scorso furono erette in prossimità degli altarioli presenti nelle rispettive piazze. Quella di Ranzano venne ultimata nel 1882, quella di Ceolini in anni successivi alla mappa austroungarica del 1843 che riporta ancora l'altare eretto, per volontà della Serenissima, come voto dei cittadini salvati dalla peste nel 1630. L'altare si trovava dove ora c'è il Bar All'Oasi. La chiesa venne costruita vicino al pozzo della borgata.
Villa Pierozan, Zilli
La villa si affaccia sulla strada comunale che va da Polcenigo a Fontanafredda, di fronte all'Albergo Gigi, è stata costruita prima del 1790 ma nel corso del tempo ha subito numerosi interventi e modifiche.
La villa è caratterizzata dalla tipica forma ad "U" con un corpo dominicale sviluppato su tre piani, ha un ingresso con portale bugnato, preceduto da tre gradini e esattamente sopra una portafinestra arcuata con poggiolo balaustrato. Davanti all'edificio principale si trova uno spazioso cortile racchiuso da due tratti di mura di cinta arcuato, due pilastri sormontati da sfere e un cancello in ferro battuto.
Palazzo Calchi Novati
Il palazzo sorge poco distante da Villa Pierozan, prese il nome da Giacinto Calchi Novati, nobile di origine lombarda, che nel 1662 aveva sposato Faustina Pierozan la quale, probabilmente, aveva portato in dote il terreno, su cui seguì la costruzione del palazzo.